Un giovedì sera all’insegna dei ricordi olandesi.

Un normale giovedì sera. Dopo la lezione di danza ero tornata a casa un po’ stanca, “ora doccia e poi a dormire”, pensavo. Però dopo la doccia mi ero messa un po’ al computer, ad organizzare i miei impegni imminenti. Mentre riflettevo tra me e me e mi perdevo tra i pensieri, il suono del cellulare mi ha riportata alla realtà. Un messaggio su Facebook.
Guardo lo schermo che si è appena illuminato e leggo i saluti di un mio amico austriaco conosciuto in Olanda che mi scrive per parlare del più e del meno. Ci raccontiamo del diploma che entrambi abbiamo preso, di cosa facciamo al momento e dei nostri progetti futuri, ma dopo poco ci ritroviamo a parlare dell’Olanda. Era anche lui un exchange student, eravamo ospitati da due famiglie della stessa cittadina e per un periodo abbiamo frequentato la stessa scuola.
Poi io ho cambiato città, ma abbiamo continuato a vederci in giro per l’Olanda ogni volta che ci era possibile. Parlavamo di tutto, soprattutto della nostra esperienza in quel Paese così particolare. Ci confrontavamo ogni volta sul nostro exchange year e ogni volta ci concentravamo su un dettaglio diverso. “Come ti trovi a scuola?”, era il discorso di una passeggiata a Den Haag. “Che tempo strano, non sono abituata a questo freddo”, spiegavo davanti ad un thè caldo in un bar di Utrecht. “Come ti sembrano gli olandesi?”, ci chiedevamo a vicenda mentre pattinavamo sulla pista di ghiaccio davanti al Rijksmuseum di Amsterdam.
Ci divertivamo molto e sono ricordi che conservo gelosamente. Eppure non è questo quello che ci è tornato in mente dell’Olanda chiacchierando dopo tempo che non ci sentivamo.
J. (il mio amico) mi ha chiesto se fossi già tornata in Olanda in questi due anni trascorsi da quei momenti felici. La mia risposta è un “no” piuttosto secco, senza troppe spiegazioni. Mi dice che nemmeno lui è mai tornato, ma che prima o poi ci andrà. Inizio allora a raccontargli che mia mamma mi propone spesso di andare, ma che qualcosa mi frena e la ragione non è ben chiara nemmeno a me. Ed è ora che arriva una risposta che non mi aspettavo: “Quando sono tornato a casa mi è sembrato di essermi svegliato dopo un lunghissimo sogno”. Sento quasi i brividi e mi rendo conto che è quello che ho sempre pensato anch’io. Io di solito dico che mi sembra di aver vissuto una vita parallela, ma forse la sua spiegazione rende meglio. Gli dico che è proprio per questo che non riesco a convincermi ad andare di nuovo in Olanda, mi fa davvero strano. Più parliamo di questa sensazione e più mi sento compresa. Mi dice “penso di aver capito perché io non me la senta di andarci: voglio lasciare tutto com’è stato, non sarà mai più lo stesso”.
Questa volta sorrido. È una bella prospettiva e forse anche un pensiero un po’ bizzarro. Però mi sembra proprio che sia il mio inconscio a parlare. Finalmente capisco perché ho paura di tornare in quel Paese a cui ho dato tanto e che mi ha insegnato tantissimo.
Ho paura di non rivivere quel “sogno”, so che sarebbe diverso, so che mi sentirei estranea in un posto che per quasi un anno mi è appartenuto.
Vorrei tornare, rivedere quei paesaggi che mi hanno tanto incantata, fare shopping in quei centri cittadini sempre abbastanza affollati, passeggiare lungo i canali, andare in bici da una parte all’altra della città. Vorrei rivivere tutto questo, rivederlo, riascoltarlo. Ma mi rendo bene conto che forse davvero non è più possibile. Continuerei probabilmente a chiedermi come ho fatto, due anni fa, ad andare a scuola a marzo in bici nonostante la neve, come ho fatto ad imparare quella lingua, come ho fatto a destreggiarmi tra gli olandesi.
È come se non avessi ancora realizzato tutto ciò che è stato, però è stato bello e voglio ricordarlo così.

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