Sì, ho fallito.

Dopo mesi di pratica e tanto impegno, mi apprestavo finalmente ad affrontare l’esame di guida. Non l’avevo detto praticamente a nessuno, un po’ per scaramanzia e un po’ per convinzione che sarei stata bocciata.
E così è stato.
Con l’unica differenza che, subito dopo la bocciatura, avrei voluto gridare al mondo la notizia: sì, SONO STATA BOCCIATA.
L’ho detto prima di tutto all’unica persona che sapeva dell’esame e poi ho iniziato a dirlo a qualcun altro.
Nonostante la cosa non fosse inaspettata e l’avessi presa relativamente bene, sono scoppiata a piangere. Sono andata a correre – io odio correre – ma è una delle cose che mi permette meglio di sfogarmi.
Poi sono tornata a casa e mi sono sentita di nuovo a pezzi. Mi sono buttata sul letto, ho dormito nella speranza di tranquillizzarmi e mi sono svegliata un paio d’ore dopo con le lacrime agli occhi.
Continuavo a realizzare la cosa e a nasconderla a me stessa un secondo dopo, finendo così in un circolo vizioso che mi ha rovinato un sabato pomeriggio e una bella giornata di sole.
Continuo a non capire come siano andate le cose, mi sono fatta prendere dall’ansia, so solo questo.
Tutta la sicurezza che avevo conquistato in mesi di pratica è svanita in un secondo. Eppure sono capace di guidare, ne sono consapevole.

E, bene, è proprio a questo punto che ho deciso di scrivere. Mi sento un po’ imbranata ad ammetterlo, soprattutto dopo che avevo tenuto tutto nascosto per la paura di fallire, ma sì, ho fallito. E ora dirlo a tutti mi sembra il gesto più liberatorio di sempre.
Ho fallito uno stupido esame di guida. Nulla di più.
E più ci penso, meno capisco io stessa cosa ci sia da star male.
Forse era tanta la speranza di portare in giro al più presto gli amici più cari o forse era solo il desiderio di togliermi dalla testa il pensiero della patente.
E invece è ancora là. Più forte di prima.
È là a ricordarmi che ora ho solo un altro tentativo. È là per farmi capire che la prossima volta devo solo stare più tranquilla.

Ma, all’improvviso, delle parole sono comparse sullo schermo del mio cellulare, il messaggio di uno degli amici più cari che ho: “Non varrai meno per nulla per aver fallito un esame di guida, il tuo valore rimane inalterato“.

Saranno state anche le parole più scontate in una situazione del genere, ma avevo bisogno di sentirmele dire. Avevo bisogno di qualcuno che mi facesse riflettere su quanto immensamente piccola in confronto a me fosse la cosa.
E mi sono tornati in mente tutti i “fallimenti” che mi avevano accompagnata fin da bambina: la sensazione di solitudine di quando ero troppo timida da piccola e rimanevo sempre in disparte; non saper fare la spaccata dopo anni e anni di danza; una C (appena sufficiente) alla certificazione di inglese in terza media, presa da me che ero sempre stata la più brava della classe e una serie infinita di piccole cose che avevo quasi completamente dimenticato e delle quali ridevo quelle poche volte che riaffioravano tra i miei pensieri.

Riderò anche di questo 11 marzo, un giorno. Riderò delle mie preoccupazioni inutili che mi hanno tolto il sonno e il buonumore per i tre giorni precedenti all’esame. Riderò di me che sono scappata via piangendo. Riderò di quando ho provato a rifare la manovra dopo che l’esaminatrice mi ha detto “devi rifarlo”, non capendo che si riferisse all’intero esame. Riderò di questa giornata che ho buttato tra lacrime e sonno e mi prometterò di non avere mai più paura di fallire.

E l’avrò di nuovo. Ma, lo so, riderò di nuovo.

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